Cancro all’ovaio: la terapia mirata con Olaparib associato a Bevacizumab migliora la sopravvivenza


Ogni anno, in Italia, sono 5200 le nuove diagnosi di cancro all'ovaio. La sopravvivenza a 5 anni è ancora bassa, pari al 43%, anche perché molte donne, circa l’80%, scoprono la malattia in fase avanzata. Inoltre, in questa patologia, mancano efficaci strumenti di screening.

In presenza di specifiche mutazioni genetiche, il tumore all'ovaio può essere trattato con una terapia mirata. Olaparib ( Lynparza ), capostipite della classe degli inibitori PARP, in grado di tenere sotto controllo la malattia e di cambiare la pratica clinica.

I dati del follow-up a lungo termine degli studi di fase III PAOLA-1 e SOLO-1 hanno mostrato significativi miglioramenti clinici nella sopravvivenza globale e nella sopravvivenza libera da progressione con Olaparib in combinazione con Bevacizumab ( Avastin ), un farmaco antiangiogenico, per le pazienti positive al deficit di ricombinazione omologa ( HRD ), rispetto a Bevacizumab, e con Olaparib in monoterapia, per le pazienti con mutazioni BRCA, rispetto a placebo.
Entrambi gli studi, che sono stati condotti in pazienti con nuova diagnosi di tumore ovarico avanzato selezionate tramite biomarcatori, nel setting di mantenimento in prima linea hanno inoltre dimostrato un profilo di sicurezza coerente con i risultati precedenti.

Il carcinoma ovarico è uno dei tumori ginecologici più comuni, con la prognosi peggiore e il tasso più elevato di mortalità.
Più di due terzi delle pazienti presenta malattia avanzata alla diagnosi e circa il 90-60% di queste muore entro 5 anni.
Una donna su 5 con carcinoma ovarico avanzato presenta una mutazione BRCA, e circa la metà è affetta da tumori HRD positivi ( che comprendono i tumori con una mutazione BRCA ).

Storicamente il tasso di sopravvivenza a 5 anni delle pazienti con nuova diagnosi di carcinoma ovarico avanzato è del 10-40%.
Riguardo alla sopravvivenza a lungo termine nelle donne affette da cancro delle ovaie è cruciale il setting di prima linea che può influire sulla sopravvivenza.
I dati aggiornati degli studi PAOLA-1 e SOLO-1 hanno mostrato due pazienti su tre vive.

Il difetto di ricombinazione omologa ( HRD ) rappresenta un errore nel meccanismo del riparo della doppia elica del DNA, presente in circa il 50% dei casi.
I risultati dei due studi hanno sottolineato l’importanza, al momento della diagnosi, del test HRD, che consente di individuare anche le mutazioni BRCA, per tutte le pazienti con carcinoma ovarico avanzato. Le deficienze di ricombinazione omologa infatti definiscono un sottogruppo di carcinoma ovarico e comprendono un’ampia gamma di anormalità genetiche, incluse le mutazioni BRCA. Il test HRD deve costituire il primo step di un approccio di medicina di precisione per definire la miglior terapia.

Circa il 70% delle donne con malattia avanzata va incontro a recidiva entro 2 anni. Il trattamento mirato nel setting di mantenimento di prima linea è fondamentale per aiutare le donne a vivere più a lungo, ritardando la progressione della malattia.
I risultati a 5 anni dello studio PAOLA-1 hanno dimostrato che il 65,5% delle pazienti HRD positive, trattate con Olaparib in combinazione con Bevacizumab, è vivo a 5 anni rispetto al 48,4% con Bevacizumab da solo.
La combinazione ha ridotto il rischio di morte del 38%, confermando ulteriormente il beneficio clinicamente significativo di sopravvivenza a lungo termine.
Inoltre, l’aggiunta di Olaparib ha portato la sopravvivenza libera da progressione a una mediana di quasi 4 anni, cioè a 46,8 mesi rispetto a 17,6 con Bevacizumab da solo.

I risultati a lungo termine dello studio SOLO-1, nel carcinoma alle ovaie avanzato con mutazione BRCA, hanno confermato che il beneficio di Olaparib in monoterapia nel setting di mantenimento di prima linea si estende ben oltre il limite massimo di trattamento di 2 anni continuando a produrre un miglioramento clinicamente significativo della sopravvivenza globale per più di 7 anni.
Olaparib ha ridotto il rischio di morte del 45% e, a 7 anni, il 67% delle donne era vivo rispetto al 47% con placebo.
Inoltre, il tempo medio alla prima terapia successiva era di 64 mesi con Olaparib rispetto a 15,1 mesi con placebo. ( Xagena_2022 )

Fonte: Annual Meeting ESMO ( Società Europea di Oncologia Medica ), 2022

Xagena_Medicina_2022